I riferimenti alla zona di comfort ormai si sprecano. Nell’ultimo mese ne ho sentito parlare in 27 occasioni diverse. E il senso è sempre quello: chi resiste al cambiamento è una persona ancorata al passato che non ha la capacità di guardare al processo di innovazione come ad una strada lastricata d’oro che porta verso il futuro.
Ma se l’Osservatorio Digital Innovation evidenzia come il 62% dei progetti di innovazione fallisce, siamo sicuri che sia proprio così? Chi ci aveva visto lungo? Chi voleva rimanere o chi voleva uscire dalla zona di comfort?
L’innovazione è un modo per andare oltre all‘abbiamo sempre fatto così’. Invita a guardare lontano, a reimmaginarsi per creare ancora più valore. Non sempre, però, è un’occasione di crescita. Sicuramente per imparare, a volte a caro prezzo.
Consapevole di quanto possa essere una forzatura, distinguerei chi resiste al cambiamento per comfort personale e chi lo fa per comfort aziendale.
Quando il comfort personale prende il sopravvento, perchè si ha poca voglia di imparare e non si vuole perdere il controllo della situazione, o non si vuole dare spazio ad un collaboratore o – peggio – è motivo di ricatto relazionale prima ancora che economico, siamo di fronte ad un atto di egoismo.
Quando il comfort ‘aziendale’ assurge a ‘oggetto del contendere’ la questione si fa diversa. In quel caso resistere al cambiamento significa stimolare perchè l’approccio all’innovazione sia sistemico, tenga conto di tutte le possibile correlazioni.Si chiama complessità ed è nemica della banalizzazione.
Spesso si assapora il mood ‘pioneristico’ di un cambiamento, ma è assodato che nella sua fase iniziale il ciclo di vita di un processo innovativo produce inefficienze. Bisogna chiedere ad un sistema, che aveva trovato un punto di equilibrio, di abbandonare lo status quo verso una terra promessa. Da trovare e costruire assieme nonostante il valido aiuto di test e benchmark. Quello in cui ragionevolmente si scommette è che le inefficienze iniziali saranno recuperato dalle maggiori efficienze successive.
Cosa potrebbe favorire il coinvolgimento delle persone, la loro voglia di contribuire ed evitare un’eccessiva resistenza al cambiamento?
- PARTECIPAZIONE delle persone alla progettazione del processo innovativo, sia esso la strategia aziendale o semplicemente l’introduzione di un nuovo software. Sentirsi ‘genitori’ del progetto sposta subito il focus su come proteggerlo per farlo crescere con gradualità e prospettiva;
- CREAZIONE di spazi di confronto, spazi per le domande, dove le persone possano porre sul tavolo questioni senza la paura di essere giudicati o di mettere in crisi qualcun altro. Spazi dove avere la forza di porre interrogativi senza avere l’obbligo della rassicurante risposta presto o subito;
- MAPPATURA dei punti che vengono ritenuti critici del processo, per ‘pesare’ assieme sia il livello di inefficienza atteso nella fase di lancio, sia il possibile livello di maggiore efficienza successivo, ipotizzando assieme il Break Even Point del nuovo progetto, così da mettere tutti nelle condizioni di presidiare l’evoluzione del cambiamento ed eventualmente proporre correttivi.
La resistenza al cambiamento, quando ha a cuore il benessere del sistema aziendale, è un Grillo Parlante, lanciargli un martello addosso non è mai la soluzione.