Trovarsi appesi a 12 metri e non sapere che pesci pigliare. Eppure è improbabile che si siano dimenticati un appiglio. Ma il prossimo è troppo in alto, non riuscirò mai ad arrivarci con le braccia e il solo tentativo rischia di sbilanciarmi e farmi perdere l’equilibrio.
Quante volte, non solo in una parete di arrampicata sportiva, ho vissuto queste sensazioni. Poi guardi in basso, ti ricordi che hai anche dei piedi. Ne porti uno su un appoggio un po’ più in alto, il tuo corpo si alza, e le prospettive cambiano completamente.
Sono un neofita dell’arrampicata sportiva. Mi sto ancora dilettando su vie che iniziano con 5 (più A che C !). Nonostante la breve esperienza, la pratica mi ha stimolato alcune riflessioni.
Prima di iniziare una via, è inevitabile osservarne lo sviluppo. Lo si può fare con due atteggiamenti: ‘mamma mia come farò ad arrivare la sopra?’ oppure ‘vediamo come gira’. Sono due approcci molto diversi. Il primo è già concentrato sul risultato, il secondo sull’operatività, su quali possono essere i punti chiave ed alcune accortezze da avere. Generano due stili di scalata completamente diversi.
Il primo punta molto sulle braccia. Parte dal presupposto che la presa delle mani sia quella più sicura e vede la sosta come una minaccia (‘se stai fermo puoi cadere’). Così si parte alla ricerca dell’appiglio a cui aggrapparsi, più alto è e più mi farà muovere rapidamente. Spesso il risultato è un veloce affaticamento degli arti superiori, situazione complicata su vie lunghe.
Il secondo punta molto sulle gambe. In questo caso la sosta è un’opportunità perchè consente di osservare senza ansia il prossimo passaggio. Quando i piedi sono ben appoggiati e il peso del corpo è verso la parete, non abbiamo bisogno delle mani per rimanere in equilibrio e il consumo di energie è ottimizzato.
Ho osservato che quando mi affido troppo alle mani, rischio di trovarmi troppo in estensione col corpo e, quindi, in una posizione precaria. Salire trovando l’appoggio sui piedi è invece un continuo aprirsi di opportunità. Proprio il contrario di quello che pensavo: le mani accompagnano il movimento che è generato dai piedi. Sali con un piede di 5 – 10 cm. e quell’appiglio che ti sembrava impossibile te lo ritrovi a portata di mano. Basta quel poco per avere prospettive nuove e poterle cogliere facilmente. Alzarsi con le mani o coi piedi implica fatica e rischi completamente diversi.
Sono dinamiche che ritrovo nelle organizzazioni e nelle comunità. Quando l’innovazione è frutto dell’iniziativa delle mani (imprenditori, manager, responsabili, capi,…i cosiddetti leader insomma!) molto spesso porta con sè ansia da risultato, ricerca spasmodica della velocità, movimenti a scatti ed equilibrio precario. Di solito accompagnati dalla recriminazione verso le gambe se qualcosa non va come dovrebbe.
Quando, invece, l’innovazione è frutto dell’iniziativa dei piedi (cioè nasce dalla condivisione o da stimoli della cosiddetta parte ‘operativa’) portà con sè un progredire intuitivo ed uniforme, movimenti più fluidi ed equilibrio coerente. Di solito la sensazione arrivati in cima è ‘sono già qui? Adesso ne faccio un’altra’.