Le aziende vanno sul mercato portando una bandiera. Necessaria per essere riconoscibili. E’ la sintesi dei propri valori e del valore che offrono ai potenziali clienti. Alcune scelgono di portare la bandiera di altri. Sono le relazioni di business regolate da franchising, concessionarie, mandati in esclusiva e simili.
Questi rapporti economici trovano il loro significato nella convergenza di interessi tra: un soggetto (Master) che mette a disposizione la possibilità di commercializzare prodotti e servizi uniti spesso a supporti all’operatività di vario tipo, e un altro (Slave) che corrisponde presenza e conoscenza del territorio, preparazione tecnica e struttura operativa.
Quando questi rapporti vanno in crisi? Quando manca:
- la convenienza strategica: il comportamento di uno dei due soggetti diverge dagli interessi dell’altro e alla lunga può mettere in crisi il processo di creazione del valore;
- la convenienza economica: sostenere l’attività di collaborazione è economicamente svantaggioso.
Eppure, anche quando il rapporto è palesemente dannoso, ci sono Slave che continuano a rimanere nella relazione. Sono i casi in cui il business è intriso di coinvolgimento emotivo e senso di appartenenza in misura tale da rischiare di far perdere di vista la reale reciprocità nello scambio di valore.
Non di rado trovo imprenditori spaesati mentre si chiedono, ma cosa farò se non posso più fregiarmi della bandiera Master?
Non se ne sono resi conto, ma piano piano – accecati dagli stati emotivi di cui sopra – le loro opzioni imprenditoriali si sono pericolosamente ridotte. Come la rana dentro nella pentola, la temperatura del business è lentamente ma inesorabilmente aumentata, ha piano piano ridotto le loro forze, debilitandoli imprenditorialmente e rendendo difficile la possibilità di saltare fuori con il preoccupante rischio di finire bolliti.
Ho avuto modo di collaborare con imprenditori di vari settori in queste situazioni. Negli ultimi anni nel settore della meccanizzazione agricola (trattori, attrezzature agricole,…). A prescindere dalle specificità, le dinamiche che lo caratterizzano hanno valenza trasversale e aiutano qualsiasi imprenditore Slave a porsi delle domande di rilevanza strategica.
I concessionari che ho avuto modo di osservare operano tra la Lombardia e il Veneto per aziende Master di primaria importanza a livello mondiale e sommano una quota di mercato che va ben oltre il 60%. Il loro triennio si sintetizza così (Fonte: Cerved): ricavi 2016 € 132 milioni (+32% vs 2014), magazzino 2016 € 34 milioni (+21% vs 2014) e un reddito operativo del 2,6% (-25% vs 2014)
Aumento del fatturato, aumento del magazzino e riduzione del reddito operativo (ante gestione straordinaria). Qualcosa non torna.
Uno sguardo al mondo delle aziende agricole, rende più facile capire alcune dinamiche. Nonostante la presenza di importanti contribuzioni di vario tipo (PSR, Inail, Camere di Commercio,…), condizioni che non ho trovato in alcun altro settore, l’acquisto di macchine agricole è calato del 32% negli ultimi 10 anni. I motivi stanno nella diminuzione del reddito delle aziende agricole, specialmente quelle operanti nel settore cerealicolo o zootecnico. Questa situazione economica ha portato ad una razionalizzazione del numero delle aziende e ad una diversa gestione del parco macchine che risulta spesso sovradimensionato rispetto al volume d’affari. Si ricorre sempre più spesso alla riparazione, all’acquisto dell’usato o l’avvalersi di altri soggetti per le operazioni agricole (il cosiddetto contoterzista).
E il marchio multinazionale che fa? Deve rispondere a degli investitori istituzionali, quindi è comandato dalla finanza. Per continuare ad essere attrattivo il mantra diventa: creazione di valore crescente, razionalizzazione dei costi, pianificazione industriale esasperata, creazione di cash flow attraverso la riduzione del capitale circolante (crediti e magazzino).
Quindi in un settore caratterizzato dalla recessione si chiede una creazione di valore crescente, a fronte della riduzione della capacità finanziaria si chiede la riduzione del capitale circolante e a fronte della saturazione si chiede la programmazione anticipata della produzione.
In mezzo resta il povero concessionario che deve trovare il punto di equilibrio vendendo in un clima di marginalità decrescenti, proponendo finanziamenti/leasing che indebitano ulteriormente l’agricoltore e di cui non di rado deve garantire l’eventuale subentro e con un’attività di magazzino caratterizzata oltrechè da ordini prestagionali anticipati di 6-7 mesi anche dal ritiro dell’usato del cliente con il conseguente rischio minusvalenza.
Quello che aggrava questo quadro è che il guadagno del concessionario è ormai dato dal premio annuale ordini/quota di mercato. Naturale che si generi la distorta pratica di acquisti/immatricolazioni al solo scopo di raggiungere detto premio, essenziale per la sopravvivenza. Gli acquisti fatti dovranno essere immessi sul mercato in modo da evitare uno scompenso finanziario e le condizioni a cui questo avverrà saranno inevitabilmente forzate, andando a deteriorare le condizioni commerciali anche dei concorrenti.
Il concessionario di macchine agricole, come altri soggetti Slave, è ormai un’attività complicata. Sarà per questo che nella zona presa in esame da più di 20 anni nessun soggetto ‘esterno’ decide di investire in questo settore che vanta soprattutto aziende con una tradizione familiare. Il maniera provocatoria sintetizzerei il motivo così:
ormai il concessionario fa il lavoro sporco per la multinazionale.
Qualcuno obietterà che non è così. Che vengono scelti dai clienti per la loro professionalità e per la relazione consolidata negli anni. Sarebbe interessante la prova del 9. Nel caso che la bandiera andasse a sventolare presso altri lidi sarebbe seguita dai loro clienti, dai loro commerciali e dai loro tecnici?
Non serve che la risposta sia SI’. Basta che sia un FORSE perché sia giunto il momento di guardare all’interno del modello di business e ripensare come farlo diventare una reale processo di costruzione di valore. Per dare senso ai rischi corsi quotidianamente. Perché comunque la loro vera bandiera continui a sventolare.